L'autostima è il sistema immunitario contro la violenza

28.02.2021

L'ennesimo femminicidio ha riempito le cronache dei giornali in questi giorni e mi riporta prepotentemente al tema della violenza di genere. Provo un certo senso di impotenza ogni volta che leggo questi fatti di cronaca, poi però faccio un respiro profondo, penso che le cose possono e devono cambiare e che anche io, nel mio piccolo, posso contribuire a questo cambiamento. 

Per questo oggi vi propongo un'intervista che ho avuto il piacere di fare ad una mia cara amica, Emanuela Skulina, sociologa che da anni segue progetti di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere ed empowerment delle vittime.

Ho provato ad affrontare con lei alcune questioni collegate a questo spinoso argomento. 


Io: Grazie Emanuela per aver accettato di parlare assieme a me di questo tema!...
Nell'ultima settimana si è compiuto l'ennesimo femminicidio e questa volta ci tocca da vicino, visto che è avvenuto in un sobborgo di Trento. La mia sensazione è che di questi fatti se ne parli molto, ma che ci sia ancora molto da fare per sconfiggere questa piaga che evidentemente ha radici profonde. Da dove parte tutto ciò?

Emanuela: Innanzitutto quando si parla di queste cose bisogna tenere presente che non siamo a commentare il singolo episodio, ma parliamo di in fenomeno, le cui radici si perdono nella notte dei tempi.

Da sempre è esistito uno squilibrio di potere tra i generi, ossia tra quello che ci si aspettava che una persona potesse fare in quanto appartenente ad un genere o ad un altro.

La buona notizia è che oggi siamo consapevoli che il genere è un costrutto culturale e che quindi lavorando sulla cultura possiamo liberarci da stereotipi che ci ingabbiano in ruoli che fanno soffrire sia il maschile che il femminile.

Senza voler fare paragoni, dobbiamo considerare che - dopo tutto - l'atra faccia della medaglia del sessismo è che tanti uomini, "solo" perché uomini, non possono vivere appieno la paternità in quanto da loro ci si aspetta altro, come concentrazione e massimizzazione delle performance in campo lavorativo, ma gli esempi che potremmo portare sono molto numerosi...

Io: Cosa possiamo fare di concreto secondo te?

Emanuela: Per prima cosa sarebbe bene iniziare ad interrogarci sul nostro modo di vivere il genere, prendendo consapevolezza di tutte le volte che, magari in modo del tutto automatico, applichiamo anche noi degli schemi sessisti.

Questo ha un risvolto importante se lo pensiamo poi calato all'interno delle famiglie, in rapporto ai bambini e agli adolescenti che diventeranno gli adulti di domani.

Credo poi che ognuno di noi dovrebbe interrogarsi sul modo in cui ci poniamo all'interno delle relazioni che abbiamo. La violenza di genere si manifesta proprio nelle relazioni più strette, in quelle che di fatto ci mettono in discussione nel nostro intimo.

Io: A proposito di come una persona sta all'interno di una relazione, mi sembra di vedere che questi terribili atti portano alla luce una fragilità di fondo , o sbaglio?

Emanuela: La cosa importante da dire è che questi uomini non sono mostri, bensì uomini che - cresciuti nella nostra cultura - fanno cose mostruose. Questo non li giustifica, ma serve per analizzare e comprendere le radici di un comportamento e per fare in modo che questo non continui a ripetersi.

E' sicuramente vero che in alcuni casi ci sono problematiche psichiatriche che vanno prese in mano da specialisti, ma nella maggior parte dei maltrattamenti siamo di fronte a uomini molto fragili per i quali la violenza è l'unico strumento che sanno gestire, perché nessuno ha dato loro una sorta di alfabeto emotivo o ha insegnato loro a gestire le proprie emozioni.

Spesso sono uomini per cui la fine di una relazione comporta la fine della propria affermazione nella società: di fronte ad un no si sentono persi.

Quindi vedo due livelli di gestione del fenomeno: da un lato il sostegno delle vittime che riescono a liberarsi da una relazione violenta dando loro strumenti per cominciare una nuova vita, interventi sugli uomini che questa violenza l'hanno commessa per dare loro gli strumenti per evitare una nuova recidiva, e sostegno ai figli che sono stati testimoni involontari di tutto ciò; il secondo e altrettanto fondamentale livello di gestione  è quello troppo spesso dimenticato della prevenzione.

Io: E in cosa consisterebbe una buona prevenzione?

Emanuela: Bisognerebbe fare percorsi seri, strutturati e capillari di educazione all'affettività, di educazione al conflitto, perché è importantissimo imparare che il conflitto non è violenza e che si può litigare in modo sano senza annientare l'atro.

Con questi percorsi bisognerebbe partire già dai bambini più piccoli, per dare loro le basi per costruire una personalità che non li porti a dipendere dall'altro e che li aiuti a costruire un'autostima sana, perché l'autostima è il sistema immunitario contro la violenza.

E questo, connesso con l'imprescindibile esempio dato dagli adulti all'interno della famiglia, è il lavoro quotidiano da portare avanti.

Io: Un'ultima domanda... Fino ad ora le manifestazioni in piazza, le proteste sui social erano di fatto quasi ad appannaggio femminile, mentre di fronte agli ultimi fatti di cronaca, sembra sempre più forte il coinvolgimento maschile in questa lotta. È una mia sensazione o è davvero così?

Emanuela: Anche io ho avuto la stessa sensazione.

Il contrasto alla violenza di genere non è una guerra tra i generi, anzi, solo creando alleanze tra uomini e donne e affrontandola insieme si può sperare di superarla. È un segno positivo questa "nuova" partecipazione degli uomini e penso che sia stata incentivata da una presa di consapevolezza di quanto può fare l'esempio di un singolo uomo non violento nella quotidianità.

Ricordiamo che la maggior parte degli uomini non sono violenti, ma è importante e fa ben sperare per il futuro che questa maggioranza fin'ora silenziosa prenda adesso posizione.


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