Ripensare lo spazio urbano in un’ottica di genere

09.01.2022

Affrontando il tema relativo alla violenza di genere ho spesso avuto modo di sottolineare quanto questa piaga sia un punto di arrivo - ovviamente patologico - che affonda le sue origini in una costruzione culturale radicata nella nostra società. Vi voglio oggi proporre un punto di vista forse nuovo per molt@.

Quando parliamo di identità culturale di una società dobbiamo considerare che essa si forma ed evolve tanto in una dimensione temporale, quanto in una dimensione fisica, ovvero nello spazio in cui siamo, e da questo stesso spazio ne risulta influenzata.

Va da sè dunque che i luoghi che abitiamo, le strade che percorriamo, i punti di aggregazione, ecc. possono essere anch'essi determinanti per l'evoluzione della nostra società verso una vera parità di genere.

In queste vacanze mi sono imbattuta nella lettura di un pamphlet che, pur se indirettamente, ha stimolato le considerazioni appena fatte. L'autore del testo è l'architetto e urbanista Alessandro Franceschini, che ho avuto il piacere di conoscere nel corso dell'anno passato e che mi ha gentilmente dedicato del tempo per discutere assieme di "urbanistica di genere". Ecco a voi che cosa ne è uscito...

Alessandro ci puoi riassumere in poche parole di che cosa si occupa l'urbanistica?

L'urbanistica moderna nasce all'inizio del XIX secolo, come risposta alla crisi della città ottocentesca. L'arrivo dell'industria nella città storica e il conseguente afflusso di manodopera dalla campagna, infatti, aveva creato una vera e propria esplosione dell'organismo urbano, causando difficoltà legate al sovraffollamento e all'igiene urbana. La disciplina che oggi chiamiamo "urbanistica" nasce in quegli anni con l'obiettivo di risolvere i problemi di quella crisi. Ma, con il tempo, si è arricchita di altri temi e di metodi di lavoro, adeguandosi allo sviluppo della cultura, dei costumi e della società, e adottando anche nuove prospettive specialistiche utili al progetto della città.

Una delle quali è, immagino, l'urbanistica di genere?

Quella dell'urbanistica al femminile è una di queste e ha origini relativamente recenti. L'idea di base è la constatazione che uomini e donne "usano" la città con tempi e spazi comunemente differenziati, ma che essi siano invece prevalentemente progettati a misura d'uomo. E che serva, al contrario, trasformare lo spazio urbano in un luogo di corresponsabilità tra donne e uomini. La città, insomma, come luogo di bisogni e scelte «plurali». Un primo riferimento, in questo senso è sicuramente quello dell'antropologa americana Jane Jacobs, che nel Dopoguerra mosse una severa critica al modo in cui venivano progettate le città americane, proponendo una prospettiva dal basso, secondo una sensibilità squisitamente femminile. Un altro riferimento imprescindibile, nella critica di genere sulla città, è sicuramento quello della politologa Leslie Kern, che in un suo recente libro dedicato proprio alla città femminista, delinea i contorni della «lotta per lo spazio in un mondo disegnato dagli uomini».

Cosa si sta facendo oggi sul tema?

Attualmente, le esperienze portate avanti nel mondo sono frammentarie e variegate. Quasi tutte, però, si concentrano sul tema dell'inclusività, ovvero come rendere la percezione della fruizione urbana più sicura per la donna. È un tema all'ordine del giorno, messo nero su bianco anche delle Nazioni Unite, negli obiettivi di sviluppo sostenibile (in particolare la "gender mobility") che traguardano il 2030. In molti Paesi europei (Vienna, ad esempio, è la città europea più "amica delle donne", ma da osservare sono anche Stoccolma e Barcellona) si sta investendo molto su questo tema, mentre l'Italia arranca ancora un po'. Fa eccezione, a questo trend, la città di Torino che lo scorso anno ha previsto in organico la figura del Gender City Manager, a cui ha affidato il compito di valutare e monitorare l'impatto sul genere delle politiche attuate nei diversi ambiti dell'amministrazione.

Quali sono i temi all'ordine del giorno?

In generale, si tratta di leggere l'urbanistica attraverso la lente della prospettiva di genere - "la città della cura e dell'assistenza", come la chiama la Kern -, con l'obiettivo di migliorare la vita di tutti, anche delle categorie fragili come gli anziani, i bambini, i disabili. Tra i tanti temi sul tavolo, uno particolarmente interessante è quello teso a superare una progettazione del sistema della mobilità sostanzialmente focalizzata sull'uomo-adulto-lavoratore (a servizio, in pratica, del tragitto casa-ufficio) per concentrarsi sui bisogni della donna, evidentemente più vari e articolati a causa dell'impegno nella cura della famiglia, che provoca, come sostengono gli esperti, una mobilità "zigzagante". Tale modalità di travalicare le "zone" con cui è stata pensata la città contemporanea, rappresenta allo stesso tempo l'evidenza del ruolo centrale che la donna ricopre nella costruzione del tessuto, evidentemente più poroso e articolato, delle relazioni urbane. C'è poi il grande tema della sicurezza e del verde: nel primo caso, l'obiettivo è quello di risolvere il problema della paura delle donne nella città, lavorando sugli spazi pubblici affinché siano percepiti più sicuri, attraverso l'apertura delle visuali e l'implementazione di un'illuminazione notturna efficiente e moderna; nel secondo caso l'attenzione è rivolta alla progettazione di parchi pubblici, immaginando aree per la cura dei bambini, dell'accudimento degli anziani e per il risposo, lo svago e il movimento. Rimettendo, in filigrana, il focus del progetto sulla centralità del tempo libero - o comunque impiegato in attività non remunerative - rispetto a quello speso (dagli uomini) in attività produttive.

Mi piacerebbe sapere come vedi questo tema dal tuo punto di vista "maschile"...

Credo che se limitiamo la lettura di genere della città ai soli temi della mobilità e della sicurezza, benché importantissimi, possa essere un'occasione persa. Il progetto della città, infatti, può essere arricchito della sensibilità femminile in molte altre dimensioni, contribuendo ad un vero e proprio cambio di paradigma alla maniera in cui siamo soliti progettare la città: penso per esempio al rafforzamento del presidio del territorio in termini di presenza e di costruzione di rete comunitarie, che rappresenta una modalità tipicamente femminile di gestire lo spazio urbano; oppure a progetti costruiti valorizzando la dimensione "relazionale" (altra importante caratteristica delle donne) e quindi favorendo la progettazione dal basso (quella che gli urbanisti chiamano "botton-up") e la dimensione partecipata della pianificazione territoriale (vera e propria urgenza nella progettazione del nostro tempo). Insomma, quello femminile non deve rimanere solo un elenco di desiderata, ma un vero e proprio metodo di approccio alla progettazione dello spazio urbano, con il quale si può costruire una città più giusta, sicura, accessibile, dinamica e inclusiva.

Nel ringraziare Alessandro Franceschini per avermi regalato questa lettura strettamente disciplinare dell'argomento, lascio qui i riferimenti dei due testi da lui citati, se voleste approfondire l'argomento:

  • Leslie Kern, La città femminista, Treccani, 2021
  • Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Giulio Einaudi Editore, 1969.
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