Perfect Days e l'arte del saper "togliere"

29.01.2024

Incuriosita da una puntata del mio ormai immancabile appuntamento mattutino con il podcast "Tienimi Bordone" edito da Il Post, ho deciso di andare a vedere il film "Perfect days",  di cui Wim Wenders è regista e sceneggiatore assieme a Takuma Takasaki.

Da quando sono uscita dal cinema, ho addosso un senso di pace che non mi abbandona... non so quanto durerà, ma vorrei mi facesse compagnia a lungo... Dicono che la gioia si vede negli occhi, non nel sorriso... e gli occhi di Hirayama - il protagonista - sono stati per me un concentrato di emozioni, di risonanze, di mondi possibili.

Elogio dell'accoglienza

Il film nasce dall'idea del governo giapponese di creare dei cortometraggi dedicati ai bagni pubblici di Tokyo per celebrare un valore fortemente sentito nella cultura giapponese, ovvero l'accoglienza. Per farlo chiedono al famoso regista tedesco che propone a sua volta invece di costruire una unica storia romanzata, per meglio rappresentare quelli che lui stesso definisce  "piccoli santuari di pace e dignità".

Così chi vede il film si trova immerso nella vita di Hirayama, un uomo sessantenne addetto alla pulizia dei bagni pubblici di Tokyo. Ci si ritrova fin dalla prima scena a condividere con lui le sue giornate che si ripetono sempre identiche, scandite da una rassicurante routine, fatta di orari, movimenti e azioni sempre uguali, senza che questa ripetitività diventi mai soffocante o alienante.

L'accoglienza che arriva durante la visione del film sta tanto negli ambienti - nei bagni che risultano piccoli tesori architettonici, nelle stazioni metropolitane dove c'è spazio per una chiacchiera, nei parchi pubblici dove convivono persone ai margini della società e turisti occidentali - quanto nelle persone - a cominciare dallo sguardo con cui Hirayama accoglie ogni mattina la giornata che ha inizio mentre esce dalla porta di casa, ma anche nella voce calda della locandiera che intrattiene i clienti cantando melancolica nella tavola calda dove ogni domenica il protagonista passa la serata.

L'arte del "fare bene"

Il film dà grande spazio all'arte del fare bene le cose, anche quelle che possono sembrare umili e di poco valore.

Hirayama pulisce i bagni in modo meticoloso, con una dignità che risulta naturale in un modo "lapalissiano", se non fosse per il commento del giovane collega che gli chiede che senso abbia pulire così bene una cosa che tanto sarà subito sporcata, facendo tornare tutto come prima... Eppure in questa cura, in questo lavoro certosino si ha la percezione che tutto è proprio così come dovrebbe essere, trasmettendo un senso rassicurante di giustizia.

Nel "saper togliere" ho sentito il pieno dove sembrava ci fosse vuoto

Nel film ci sono numerosi altri stimoli, ma quello che mi ha molto colpita ha a che fare con la sensazione che ancora oggi mi porto addosso e che credo sia un valore da considerare.

Definiremmo Hirayama come un uomo semplice, che ha poco e si accontenta di poco... eppure dentro quel "vuoto" ci ho visto tanto "pieno" da fare invidia al più grande accumulatore seriale di oggetti, di emozioni, di stimoli.

E anche in questo sono sia gli ambienti che le persone ad accompagnare lo spettatore. La casa del protagonista appare subito spartana eppure c'è tutto quello che gli serve per avere cura dei propri interessi e dei propri hobby.

Hirayama non è evidentemente una persona ricca - anche se qualche incursione di persone del passato fa sospettare ad un cambio di vita arrivato ad un certo punto nel suo passato - e ad un primo sguardo la sua vita potrebbe sembrare povera e monotona... eppure nella semplicità del suo vivere c'è spazio per molte passioni: la musica (il protagonista ha una cultura musicale notevole), la lettura (molti i libri presenti a casa sua), la fotografia (ogni domenica fa sviluppare le foto che scatta durate la settimana).

Ho avuto la sensazione - su cui mi interrogo anche guardando la mia vita - che il senso di pieno che ho percepito derivasse proprio dall'aver saputo fare spazio, essere "scarico", viaggiare per così dire "leggero"; in questo modo il protagonista gode appieno delle proprie passioni, non si ha mai la percezione di un consumo bulimico delle emozioni, ma di un attento e concentrato sentire del "qui e ora", celebrato dalla frase emblematica del film:

"Un'altra volta è un'altra volta, adesso è adesso"

In questo modo, lo sguardo del protagonista può concentrarsi sulla bellezza delle piccole cose e goderne davvero appieno con uno sguardo aperto, sia che si tratti di ammirare le piante del parco in cui passa la propria pausa pranzo, sia nell'ammirare la dolcezza negli occhi di una donna che con molto pudore ma altrettanto trasporto ricambia con lo stessa pulizia d'animo.


... Se non si fosse ancora capito, vi consiglio di andare a vederlo! :)


   


 



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