Le videochiamate: croce e delizia di questa pandemia

23.01.2022

E' domenica, ho appena finito una videochiamata,  e per un momento provo uno strano senso di vuoto,  quasi una vertigine, mi pervade un sentimento misto di gioia e di voglia di urlare allo stesso tempo. 

Allora mi fermo e provo a capire di cosa si tratta...

La chiamata appena conclusa appartiene alla sfera privata, non è certo una "call" di lavoro... però il risultato è molto simile: sento da un lato una sorta di gratitudine per avere la possibilità di raggiungere chi amo almeno attraverso un video, ma dall'altra l'enorme distanza fisica che c'è tra di noi.

In questi anni ci siamo abituati a questo nuovo modo di comunicare, ma non mi è ancora chiaro se se è più la croce o più la delizia...

Tutto parte con un sorriso e poi arriva l'imbarazzo

Dopo i primi secondi di "aggiustamento" del monitor (perché spesso ci vediamo a 90 gradi o addirittura partiamo a parlare faccia a faccia con una parete bianca) e dopo aver litigato con l'audio che è sempre o troppo basso o troppo alto, cerchiamo gli occhi dell'altr@ per scioglierci in un sorriso carico di affetto.

A quel punto, quasi con un certo pudore, cominciamo a chiederci come stiamo e i classici convenevoli che di solito si hanno con persone poco conosciute e mano a mano che parliamo sale una certa ansia da prestazione... capita anche a voi?

E' come se avessimo il terrore di finire gli argomenti e puntualmente è proprio quello che accade! E la videochiamata non perdona, il silenzio è molto più imbarazzante di quanto non lo sarebbe in presenza, perché manca quel supporto di tridimensionalità e realtà a cu siamo abituati, che ci permette di passare del tempo assieme anche senza dire nulla.

E del ritmo della conversazione ne vogliamo parlare...

Se già non fosse abbastanza complicato, quello che mette davvero in crisi la comunicazione è il ritmo! Passarsi la parola è un incubo, soprattutto dopo un momento di silenzio: capita praticamente sempre che entrambi si inizi a parlare, così ci si interrompe vicendevolmente, si dice: "parla tu"- "no, parla tu"... quasi come quando da adolescenti ci sentivamo al telefono con l'amat@ ed eravamo in imbarazzo sugli argomenti.

Riusciamo quindi a comunicare davvero?

In queste condizioni è chiaro che comunicare soprattutto le emozioni che stiamo vivendo durante la chiamata risulta un'impresa titanica, ci manca la tridimensionalità dell'altr@, il contatto fisico, il magnetismo degli sguardi che ci fa parlare anche senza usare le parole...

Oggi quando ho schiacciato il simbolo del telefono rosso ho provato un senso di cose non dette, di sospesi che mi ha rattristata. 

Poi oscillando tra sentimenti contrastanti mi sono consolata al pensiero che questa - seppur perfettibile - tecnologia ci consente esperienze che in un isolamento forzato da pandemia non erano immaginabili.

 Riesco a malapena a comprendere quanto debba essere vitale tutto ciò per una persona chiusa in una stanza d'ospedale, isolata da tutto e da tutti, e allora sorrido e penso che domani la videochiamerò di nuovo :)

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