"Brutta" - storia di un libro ironico ma terribilmente realista

27.02.2022


Alla fine dello scorso anno incontro una donna che mi vuole conoscere perché vuole diventare volontaria per l'associazione di cui sono presidente. Mi racconta dei suoi valori, di quanto vorrebbe spendersi per aiutare le donne vittime di violenza e tra le varie cose, mi mostra un libro che sta leggendo in quel momento. 

Nasce così la mia curiosità che mi porta -  manco a dirlo - a recarmi subito in libreria, tornare a casa la sera, accovacciarmi sulla mia poltrona gialla ed iniziare il mio incontro con "Brutta - Storia di un corpo come tanti" di Giulia Blasi.

E' un libro che si legge in un battibaleno, perché divertente e scritto con leggerezza piccante. Per me che sono nata negli anni Settanta come la Blasi, è stata poi una letterale immersione nei luoghi, nelle mode, negli usi e costumi che lei attraversa con una sagace disamina e con pungente ironia.

   

L'incontro con l'autrice 

La scorsa settimana, Giulia Blasi viene invitata a Trento a parlare del suo libro e non perdo l'occasione per andare ad incontrarla.

Ho conosciuto così una donna spontanea, determinata, con gli occhi brillanti e la lingua molto sciolta...

Nell'incontro ha rivelato dei retroscena interessanti che ho pensato di condividere nel blog oggi. Non è mia intenzione infatti raccontarvi troppo del libro, perché quello lo dovete leggere e basta :), vi rovinerei il piacere di farlo altrimenti!

Il momento storico in cui viene concepito il libro

Lo sfondo temporale in cui "Brutta" viene scritto è quello del lockdown, è il momento in cui Giulia, come molt@ di noi, sente la sensazione forte di aver perso la visione del futuro, ingessata in un presente immobile ed incerto.

Dice lei stessa che passa attraverso momenti alterni in cui mentre scrive ride molto da sola e poi la notte non ci dorme, poi scrive e ride, poi non dorme di nuovo così per tutta la stesura ... poi finisce anche in analisi, non per colpa del libro, ma tant'è.

E comunque il sottotitolo doveva essere un altro...

Immersa nel mood che vi ho appena descritto, Giulia immagina un sottotitolo ben diverso da quello che le suggerisce invece di dare al testo la casa editrice.

Per lei, il libro nasce come "Brutta - un'autobiografia a pezzi". Titolo in effetti poco rassicurante e che potrebbe forse trasmettere un senso di negatività e pesantezza ancora prima di addentrarsi nella lettura, mentre "Brutta - Storia di un corpo come tanti" risulta subito evocativo di quello che si troverà viaggiando attraverso le pagine di questo che potrebbe essere davvero il racconto del corpo di ognuna di noi, ovvero come dice lei "un corpo che non è un argomento, non rappresenta una minoranza, non è discriminato".

Il nostro corpo come capitale sociale

Il nostro corpo assume un ruolo importante e imprescindibile nel nostro stare in società, quando facciamo attività in pubblico il nostro corpo arriva prima di noi e viene letto dal mondo.

Culturalmente, il capitale sociale del corpo femminile è caratterizzato dalla bellezza, dalla sensualità e dall'erotismo, esiste un dovere sociale della bellezza.

Non dimentichiamo che in Italia siamo "cittadine" dal 1946 e votiamo dal 1948. Nella nostra società ci sono state tradizionalmente riconosciute tre funzioni fondamentali: quella di fattrici (fa figli?), decorazioni (è bella?), aiutanti (aiuta come modello pedagogico?). E molto spesso perdiamo dunque le nostre funzioni quando perdiamo la nostra avvenenza.

E dentro questa trappola culturale spesso rischiamo di accettare una serie di storture trattandole come avere cura di sé, come ad esempio le cure estetiche. Come spiega la Blasi, questo non vuol dire che siano da demonizzare la chirurgia estetica o le tecniche di bellezza, ma è importante il motivo che sta alla base di certe pratiche, in modo che si tratti di una scelta libera e non di un condizionamento sociale.

E' un problema di sguardo prima che di leggi

Un argomento che mi ha molto convinta durante l'incontro è stato poi quello relativo alla cultura della parità, nell'ambito della quale il sacrosanto diritto di essere brutti per gli uomini quanto per le donne, non è altro che una goccia nell'oceano.

Per poter cambiare punto di vista rispetto al tema in questione (come a tanti altri relativi alla parità), sarebbe importante che ci fosse un minore confinamento del pensiero delle donne a cominciare dal percorso di studi, queste permetterebbe di essere dalla parte giusta della storia. 

E solo un vero investimento sulla cultura della parità può fare la differenza; tuttavia questo salto non è possibile se  la definizione delle regole viene fatta esclusivamente da uomini bianchi, ricchi, cisgender, occidentali e privilegiati.

In questo senso possiamo dire che è un problema di sguardo prima che di leggi, perché queste leggi sono create con uno sguardo parziale che non permette un vero cambiamento, in quanto non sentito come un problema o un valore vero.

Potremmo tuttavia stare molto peggio

Concordo con la Blasi che stiamo però facendo dei progressi importanti, anche se non ancora sufficienti e anche se il pericolo di involuzioni è sempre in agguato (come stiamo vedendo anche in questi giorni offuscati da una guerra non tanto lontano da noi).

Ho cominciato ad ascoltare con una certa curiosità le giovani generazioni, e quello che ho notato è che la comunità intorno alle ragazze inizia a cambiare. 

E' di un paio di settimane fa la notizia di una ragazza di un liceo di Roma che è stata ripresa dalla professoressa la quale ha paragonato la studentessa a una prostituta per l'abbigliamento, a suo avviso, poco consono. I compagni hanno mostrato solidarietà alla ragazza presentandosi con gonna e short come forma di protesta.  

Vi confesso il capitolo del libro che mi ha fatto più ridere

Tra tutti i monologhi brillanti del libro, quello che mi ha divertita tantissimo è "La donna da mangiare"... é geniale come è scritto, a partire dalla prima frase "Tu che frutto sei?"...

Per poi domandarci "Sei una mela o una pera, una fragola o una banana? [...] che altra forma potresti essere? [...] Un rettangolo, un triangolo, una clessidra? Sembra una domanda surreale, e invece è una domanda vera che milioni di donne si sono fatte seriamente, cercando di capire quali abiti scegliere per sembrare di più un'altra cosa, un altro oggetto."

Ma anche gli aggettivi che attribuiamo al nostro corpo sono in un certo senso di stampo culinario, "ricordiamocelo: una donna piacente è "sessualmente appetibile", il rapporto viene "consumato". Il legame fra il cibo e il sesso torna e ritorna, non a caso chiamiamo "Food porn" le immagini di ricette troppo belle per essere vere."

Leggendo questo capitolo mi sono ritrovata con le lacrime agli occhi dal ridere a pensare a quante volte, parlando del mio corpo, mi sono definita una donna a pera, a mia madre che mi diceva che avevo due tette come due prugne (a differenza dei suoi meloni).

Oggi guardandomi allo specchio tutta intera penso - per dirla alla Blasi: "Forse sono una cosa che non esiste. Non cercate di mangiarmi, Non garantisco di avere un buon sapore." :) :) :) :)




 





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